Atrio del palazzo. Fine di una giornata come tante, di
corsa, il tempo è passato così velocemente che quasi non me ne sono accorta. Il
tram e poi l’autobus, poi attraverso la strada senza neanche fare troppo caso a
quello che ho intorno. Cammino verso casa mentre rovisto nella borsa per
cercare le chiavi. Entro e chiamo l’ascensore e quasi contemporaneamente parte
una canzone. Apparentemente una casuale, senza neanche troppo senso. E’
allegra, divertente, veloce e spensierata.
Proprio di quelle che immagino sempre di ballare da sola a piedi scalzi nel
buio di una stanza (vedi Telefonami tra 20 anni di LucioDalla).
Nel momento esatto in cui ho cominciato a muovere la testa a
tempo e a schioccare le dita per darmi il ritmo, ho capito che ora non devo più
ballare da sola. Ora ho te. Non devo
preoccuparmi di sembrare stupida perché tu sarai lì con me, a muovere i piedi e
le braccia, a chiudere gli occhi se ce ne sarà bisogno, sarai lì a ridere e
forse pure a sbattere la testa contro qualche mobile troppo basso per il tuo
metro e novanta. Io ti guarderò mentre Fabrizio Moro canta su quelle note,
pensando che vorrei passare tanti di quei giorni in questo modo che neanche
puoi immaginarti. Non mi importerà se fuori c’è il sole o se piove, se fa
freddo o se fa caldo, se tutti saranno impegnati a fare altro. Non mi importerà
di nulla, perché l’unica cosa che conta sarà poter ballare con te. Tenendoci per mano o anche senza farlo, ad
occhi chiusi oppure ad occhi aperti, con la luce spenta o accesa. Io e te e
nient’altro.
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